Umanesimo e Rinascimento non sono due correnti separate, hanno caratteristiche diverse, ma l’uno confluisce nell’altro.
Movimento essenzialmente letterario, l’Umanesimo favorì la ripresa dei classici latini e il rinnovato interesse per lo studio del greco, precedendo di poco il Rinascimento. Agevolò lo studio delle humanae litterae contrapposte alle divinae litterae, e contribuì alla nascita della filologia.
Già prima del 1453, anno della conquista di Costantinopoli da parte dell’esercito di Maometto II, iniziò l’esodo di molti intellettuali bizantini verso Italia, i quali contribuirono alla diffusione della cultura e della lingua greca classica, caduta nell’oblio da circa un millennio. Tra questi spiccò il cardinale Bessarione, che nel 1440 si trasferì prima a Firenze e poi definitivamente a Roma.
Grazie alla neonata filologia, i testi classici greci furono riportati alle loro forme letterali originarie e reinterpretati in modo diverso rispetto alla tradizione medioevale. Il significato religioso attribuito alle metafore nei secoli precedenti fu sostituito con nuove interpretazioni, più legate al mondo reale e più prossime all’uomo.
Ciò che distingue l’Umanesimo dal pensiero medioevale è il fatto di fondarsi su una nuova visione dell’uomo, individuo a se e non più esclusivamente legato alla divinità, inteso come essere naturale, in grado di muoversi e agire liberamente nell’ambiente in cui vive.
Nel pensiero rinascimentale, la visione della natura è retta da un ordine razionale e meccanico fondato su cause naturali, sebbene concepita da Dio.
La vera conoscenza della natura, sempre secondo questa corrente di pensiero, si poteva ottenere solo abolendo i concetti di autoritarismo, siano essi di matrice laica o religiosa.
La natura, non più legata a temi religiosi e liberata dal concetto di peccato, diventò uno dei temi più approfonditi degli studi dell’uomo: finalmente divenne possibile agire sull’ambiente e sul mondo, per trasformarlo tramite la volontà e per le esigenze dei singoli.
Questa natura, anche se libera da considerazioni religiose e costrizioni, veniva comunque vissuta, per lo più, con senso di rimpianto e un velo di tristezza, evidenziando una certa distanza da quella propria del mondo classico, perfettamente naturalistica.
Un esempio emblematico è il sonetto di Lorenzo il Magnifico, nel quale piange la giovinezza che passa e sente il senso della morte incombente, da esorcizzare con i piaceri della gioventù:
« Quant’è bella giovinezza,
Che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
Di doman non c’è certezza.
Quest’è Bacco e Arianna
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ‘l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti. »