Le cronache di Benedetto Dei raccontano che già dal 1470 a Firenze operavano decine di botteghe di pittori, di orafi e d’intagliatori. Oltre alle richieste dei committenti locali, gli artisti fiorentini iniziarono a ricevere ordinativi anche da fuori città, dalle altre corti italiane.
Da un punto di vista dello stile, la fine del XV secolo fu per il Rinascimento un periodo di rallentamento rispetto alla spinta innovativa degli anni precedenti.
Avendo ormai consolidato l’uso della prospettiva, gli artisti iniziarono a concentrarsi sulla dinamica delle masse, sui giochi di forme in movimento e sull’intensità espressiva.
L’Accademia Neoplatonica influenzò molto il linguaggio artistico, che si orientò verso la ricerca di armonia e bellezza, viste come mezzi per raggiungere l’amore divino e umano, ossia la felicità.
La rivisitazione della filosofia classica in chiave cristiana favorì l’inserimento di scene e personaggi mitologici nelle opere, visti come testimoni di verità antiche.
Da un punto di vista politico, il successore di Lorenzo de’ Medici, Piero il Fatuo, ebbe scarsa fortuna. Il suo potere, mai accettato dai suoi concittadini, durò solo due anni, dal 1492 al 1494, e s’infranse sulle scelte politiche errate che fece in occasione della discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia.
La posizione di totale sudditanza che Piero assunse verso l’invasore francese non fu accettata dai fiorentini, che lo cacciarono dalla città, saccheggiarono Palazzo Medici e affidarono a Girolamo Savonarola, frate predicatore, il governo della repubblica.
Savonarola guidò Firenze dal 1494 al 1498, la sua linea politica fu intransigente, contraria alle dottrine neoplatoniche e umanistiche, e fautrice di una riforma in chiave ascetica dei costumi.
L’esaltazione dell’uomo e della bellezza vennero viste come profane, visione che culminò con il falò delle vanità, nel quale le opere d’arte furono bruciate in strada.
La scena artistica risentì molto del nuovo contesto, anche perché le opere vennero prevalentemente dalla committenza seguace del pensiero savonaroliano, detta “piagnona”.
La crisi religiosa e i ripensamenti da essa derivanti colpirono le personalità artistiche più sensibili.
Il giovane Michelangelo, molto vicino alla famiglia de’ Medici, fuggì da Firenze in occasione della cacciata di Piero. Vi tornò verso il 1495 ma, poco dopo, partì per Roma.
Fra Bartolomeo, molto colpito dalle prediche di Savonarola, distrusse tutte le opere che aveva realizzato sino allora e prese i voti.
Altri artisti continuarono la produzione, adattando il loro stile al nuovo contesto morale.
Botticelli abbandonò i soggetti profani e caricò le sue opere di significati psicologici e morali. Nella Calunnia del 1496, ad esempio, dipinse un tribunale pieno di personaggi allegorici, nel quale l’accusato subisce l’accusa ingiusta di Re Mida, come se la vera accusa fosse verso il mondo antico e la sua assenza di giustizia.
Le ultime opere di Botticelli furono tutte a carattere religioso, come il Compianto su Cristo Morto, la Natività Mistica e la Crocifissione Simbolica.
Altro artista che risentì del clima savonaroliano fu Filippino Lippi, che realizzò opere dense di significato religioso, come il Cristo e la Vergine che intercedono presso Dio Padre, l’Adorazione dei Magi per San Donato agli Scopeti e gli Affreschi della cappella Strozzi in Santa Maria Novella.
Anche la bottega del Perugino realizzò alcune importanti opere come Compianto sul Cristo morto, e la Crocifissione.
Nel 1498, il rigore morale e religioso imposto da Savonarola cessò bruscamente. Il suo estremismo lo condusse verso la scomunica da parte di papa Alessandro VI e, a maggio, venne condannato a morte per eresia, impiccato e bruciato in piazza della Signoria.