Una delle caratteristiche più significative del Rinascimento e del nuovo fervore culturale che da questa fase si è sviluppato, è la nuova concezione di storiografia, una delle rotture più importanti con le correnti di pensiero di tradizione medievale.
Gli storici rinascimentali, tra cui i più importanti furono Niccolò Machiavelli, Flavio Biondo e Francesco Guicciardini, svilupparono un atteggiamento critico verso le fonti storiche, non prendendole più come verità assoluta.
Le loro analisi delle notizie, dei documenti e dei trattati storici furono caratterizzate da una reinterpretazione laica, abbandonando completamente la visione medievale legata a un concetto di tempo segnato dall’avvento di Cristo.
Gli avvenimenti storici furono rivisti in modo più oggettivo e meno condizionato della visione religiosa degli stessi.
La visione e l’interpretazione della storia subirono così un cambiamento epocale: si liberarono dalle catene della visione teologica, diventando una branca della letteratura. La convenzione cristiana che la storia avesse inizio con la Creazione, seguita dall’Incarnazione di Gesù e dal Giudizio finale, fu abbandonata.
Il pensiero storico rinascimentale si sviluppò attorno alla riscoperta del mondo classico greco-romano e introdusse una rilettura negativa dell’epoca medievale, che venne definita come un periodo di regressione dell’umanità, una fase di barbarie.
Il Rinascimento, quindi, si proponeva di avviare una nuova fase di luce e rinascita culturale, quasi a creare un ponte di collegamento con le grandi epoche classiche greca e romana.
Questo appassionato interesse per l’antichità sfociò nella ricerca e nel restauro dei manoscritti dei grandi autori greci e latini. Dopo la caduta di Costantinopoli del 1453, i Dialoghi di Platone, le Storie di Erodoto e Tucidide, le opere di drammaturghi e poeti greci furono riscoperti e pubblicati, risvegliando in tutta l’Europa occidentale un nuovo interesse per lo studio e l’approfondimento filologico della letteratura classica.