Il Rinascimento

Colore e luce nella pittura

Di particolare importanza nella pittura rinascimentale fu l’utilizzo della luce e del colore.

Già nell’arte medievale le differenze di luminosità erano usate per definire una superficie nello spazio o la posizione di un oggetto, ma durante il XV secolo, sulla scia dei miniatori francesi e dei pittori fiamminghi, venne introdotta la cosiddetta prospettiva aerea, nella quale il colore si schiariva in profondità diventando più luminoso, come il normale fenomeno atmosferico che avviene in natura.

Il colore ebbe fino al XVI secolo un carattere simbolico e funzionale, legato al valore specifico dei materiali con i quali veniva realizzato. Accadeva di frequente che i contratti stipulati tra committente e artista prevedessero che le figure religiose di un dipinto andassero colorate con specifiche quantità di rosso, di oro o di blu lapislazzuli, tutti materiali molto costosi che rappresentavano l’offerta di devozione del committente.

Dal 1400 si iniziò a teorizzare sempre più spesso l’uso libero del colore, tanto che a Firenze, tra il 1440 e il 1465, si affermò la Pittura di Luce, nuova corrente della pittura rinascimentale.

La Pittura di Luce si fondava sulla costruzione di un’immagine basata su valori cromatici. La disputa tra chi dava più importanza al “disegnare” e chi al “colorare” vide prevalere i secondi, che iniziarono a usare la luce, e alcuni particolari colori più luminosi, sia per definire i soggetti sia per vivacizzare il dipinto.

I più noti esponenti della Pittura di Luce furono Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, Beato Angelico, Paolo Uccello e Piero della Francesca.

Leon Battista Alberti, nel suo trattato De Pictura del 1435-36, evidenziò come il colore non fosse una caratteristica propria del soggetto, ma dipendesse completamente dalla quantità di luce che investe il soggetto stesso.

L’Alberti individuò nel rosso, nel celeste, nel verde e nel bigio, ossia il cenere, i quattro colori principali, dai quali era possibile ottenere tutti gli altri toni necessari al dipinto.

Il color cenere, ossia il bigio, fu adoperato nella prima metà del XV secolo come tono di passaggio tra un colore e l’altro. A partire dalla seconda metà del 1400 il bigio fu sostituito dai toni bruni, particolarmente graditi a Leonardo da Vinci che ne fece quasi un marchio di fabbrica, il famoso tono sfumato leonardiano che rendeva i contorni delle figure evanescenti e indefiniti.


Dove c'è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà.
Niccolò Machiavelli


Nessuno effetto è in natura sanza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienza.
<