Niccolò Machiavelli

L’esilio e il Principe (1512 – 1519)

Nell’agosto del 1512 le milizie spagnole, guidate dal cardinale Giovanni de’ Medici, entrarono in Toscana e annientarono l’esercito fiorentino, devastando Prato. Il 31 agosto Pier Soderini fu costretto a fuggire da Firenze, decretando la fine della repubblica.

I Medici ripresero il potere nel settembre 1512 e gli anni immediatamente successivi non furono semplici per Machiavelli.

All’inizio di novembre, causa la sua lealtà a Soderini, fu condannato a un anno di confino da scontare dentro il dominio fiorentino.

Il 12 febbraio del 1513 fu arrestato e torturato, perché sospettato di aver preso parte alla congiura ordita da Agostino Capponi e Pietro Paolo Boscoli contro i Medici. Machiavelli, fisicamente robusto, sopravvisse alle torture ed evitò il carcere a vita grazie all’intervento di Giuliano de’ Medici.  Pagò una cauzione e uscì di prigione grazie all’amnistia concessa dopo l’elezione di papa Leone X. Si ritirò nella villa di famiglia dell’Albergaccio, a Sant’Andrea in Percussina, circa venti chilometri da Firenze.

Durante l’esilio, mentre tentava di ottenere incarichi dai Medici, nuovi padroni di Firenze, Machiavelli compose vari scritti: un trattato sulle repubbliche destinato a fondersi nei Discorsi, un secondo Decennale lasciato incompiuto, la “memoria”, o “novella tragica”, sul “Tradimento del Duca Valentino al Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo et altri”, e, soprattutto, il breve trattato De Principatibus, meglio conosciuto come Il Principe.

Il Principe, ideato e scritto tra il 1513 e il 1514, era indirizzato a Giuliano de’ Medici, che dall’estate del 1513 era a capo della signoria medicea di Firenze. I primi undici capitoli parlano dei vari tipi di principato e in quali modi si possono acquisire. I successivi tre capitoli sono dedicati ai diversi tipi di esercito.

L’opera, poi, analizza gli attributi per i quali un capo politico, un principe o un generale, possa essere criticato o apprezzato: in totale contrasto con la tradizione moralistica, Machiavelli afferma il valore supremo della “verità effettuale”, che sarebbe la capacità di affrontare gli avversari per quello che sono e non per ciò che dovrebbero essere.

Intorno al 1515 Machiavelli ebbe deboli riscontri positivi dalla signoria medicea, che gli chiese una consulta in materia militare. Tuttavia la corte papale di Roma, che era il vero centro da cui dipendeva il potere mediceo, pose il veto sulla sua riabilitazione.  Proprio per questo Niccolò si avvicinò a un gruppo di giovani letterati d’ispirazione repubblicana, riunito attorno a Cosimo Ruccelai negli Orti Oricellari.

Negli anni successivi Machiavelli produsse molti scritti. A Cosimo Rucellai e a Zanobi Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-17), opera grandiosa di riflessione storico-politica in pieno stile machiavelliano.

Tra il 1519 e il 1520 scrisse De re militari, noto come Arte della guerra, una serie di dialoghi tra Fabrizio Colonna, Cosimo Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Battista della Palla e Luigi Alamanni, dove si afferma la necessità di un ritorno ai principi dell’arte militare romana, l’importanza del modello della milizia “propria” e il predominio della fanteria.

In letteratura, in questo periodo si dedicò all’incompiuto poemetto in terzine L’asino d’oro e al volgarizzamento dell’Andria di Terenzio. Scrisse anche la bellissima Favola misogina di Belfagor arcidiavolo e una raffinata serenata in ottave.

L'arte consiste nel rappresentare ciò che non esiste.
Jean-François Revel
La vera opera d'arte non è forse, quella che s'impone senza ambizioni di successo e che nasce da una autentica abilità e da una sicura maturità professionale?
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